PERMESSO DI SOGGIORNO PERMANENTE – REQUISITI
A seguito della emissione della sentenza 21 dicembre 2011 Procc. C-424/10 e C-425/10 della Corte di Giustizia gli ufficiali d’anagrafe hanno dovuto rivedere la procedura e le modalità di accertamenti dei requisiti ai fini del rilascio dell’attestato di soggiorno permanente.
Per quanto riguarda in particolare i controlli da eseguire nella
fase istruttoria, si riassumono di
seguito i principi generali.
Il riconoscimento del diritto di
soggiorno permanente si fonda
sul possesso di due requisiti:
1) la LEGALITÀ del soggiorno
2) la CONTINUITÀ del soggiorno
per un periodo di cinque anni.
Va precisato innanzi tutto che tale periodo non deve necessariamente corrispondere agli ultimi cinque anni ma può riferirsi
anche ad un periodo passato.
Per quanto concerne il punto 1),
legalità del soggiorno deve essere
intesa come titolarità per
cinque anni dei requisiti indicati
all’art. 7, n. 1, della direttiva n.
38/2004 che corrispondono ai
requisiti indicati all’art. 7 punto
1 del d.lgs. n. 30/2007.
In pratica la norma non
richiede necessariamente la verifica
della regolarità della posizione
contributiva del soggetto
che ha dichiarato di essere stato
lavoratore dipendente e ciò per
il fatto che il mancato versamento dei contributi per esempio potrebbe
essere una conseguenza
di un comportamento illecito del
datore di lavoro e non del dipendente.
Ciò che rilevi è che per il
periodo considerato il cittadino
risulti essere stato nella posizione
di lavoratore dipendente
nello stato: per tale verifica può
essere per esempio sufficiente
effettuare le verifiche presso il
Centro per l’Impiego competente.
Si tenga presente inoltre che il
dipendente con contratto di lavoro
a tempo indeterminato che
si trovi in stato di disoccupazione
involontaria dopo aver esercitato
l’attività lavorativa per
oltre un anno e che si iscriva al
centro per l’impiego rendendo
la dichiarazione di immediata disponibilità
lavorativa, conserva i
requisiti mentre chi si trova nella
stessa condizione ma a fronte di
un contratto di lavoro a tempo
determinato di durata inferiore
all’anno, conserva il diritto di
soggiorno per un ulteriore anno
dal licenziamento.
Per quanto attiene invece al punto 2) si precisa che per “continuità”
del soggiorno non deve
intendersi necessariamente una
iscrizione anagrafica ininterrotta
per il periodo di cinque anni: il
cittadino deve invece dimostrare
documentalmente che, a prescindere
dall’iscrizione anagrafica
egli ha soggiornato in via
continuativa nel territorio nazionale
per tale periodo.
A tal fine il cittadino, all’atto della
richiesta dell’attestato permanente,
deve dichiarare:
a) di aver soggiornato legalmente
ed in via continuativa
per cinque anni nel territorio
nazionale italiano;
b) di non essere stato assente dal territorio nazionale per
periodi superiori a quelli indicati
dall’art. 14, commi 3 e 4
del d.lgs. n. 30/2007;
c) di non essere stato destinatario
di un provvedimento di
allontanamento di cui all’art.
18, comma 2 del d. lgs. n.
30/2007.
Eventuali brevi interruzioni del
possesso dei requisiti durante
l’arco dei cinque anni considerati
devono essere valutati applicando
il principio della proporzionalità
secondo cui eventuali
brevi interruzioni non devono
pregiudicare il diritto del cittadino
dell’UE al riconoscimento del
diritto di soggiorno permanente.
Non esistono parametri per “misurare”
le brevi interruzioni: si
dovrà valutare caso per caso.
(rivista “I servizi demografici” n.4/2015 pag. 55 e ss.)
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